Quando il bebè piange, perché è bene calmarlo in modo dolce
Sentire un neonato che piange può essere davvero molto frustrante soprattutto se non si hanno validi strumenti per calmarlo e non si conoscono i meccanismi che portano il piccolo al pianto.
Le reazioni tipiche al pianto neonatale sono due:
- Eccesso di attività – si cerca di far smettere il neonato in tutti i modi possibili, perché non si riesce assolutamente a sopportare il pianto.
- Eccesso di distacco – si lascia piangere il bebè finché non smette da solo, perché si ritiene stia piangendo per vizio.
Vediamo per quali motivi nessuno dei due atteggiamenti è quello adatto, per il benessere del piccolo e la relazione mamma-bambino.
Capire perché il neonato piange
Comprendere qual è il meccanismo che porta un neonato a piangere è importantissimo per scegliere in modo consapevole una soluzione adeguata al problema.


LA DURATA DEL PIANTO Se la persona che si prende cura del bambino risponde in modo pronto e rapido alle necessità del neonato (entro 90 secondi), questi si calmerà molto in fretta (5 secondi). Moltiplicando per 2 il tempo necessario a rispondere al neonato moltiplichiamo per 10 la durata del pianto! Perciò se ci mettiamo 6 minuti a capire cos’ha il bambino e ad intervenire in modo corretto, il neonato, nel momento in cui riceve ciò di cui ha bisogno, smetterà di piangere dopo più di 8 minuti. Occorre dunque mantenere la calma e provare sempre una sola cosa per volta. Il bambino necessita di tempo per sfogarsi prima di poter accettare un nuovo intervento esterno. IMPORTANTE! Per evitare di sentire il bambino piangere potremmo essere tentati di intervenire “precocemente”, prima ancora che lui stesso abbia sentito che c’è qualcosa che non va. A lungo andare rischiamo però di non permettere al bambino di sentire quali sono i suoi reali bisogni, rendendolo completamente dipendente dall’intervento esterno. Vale la regola che, per sentire sollievo, occorre prima provare una necessità.
Cosa fare per calmare il bebè che piange?
Quando non si riesce a trovare immediatamente una soluzione al pianto del bebè si potrebbe essere tentati di scegliere una delle strade citate sopra: eccesso di attività o eccesso di distacco. Nessuna delle due è però la strada giusta.


Secondo un recente studio condotto in Scozia, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Svizzera, l’incidenza di AHT sarebbe di 14,7-38,5 casi ogni 100mila bambini. Il 25-30% dei piccoli muore e solo il 15% sopravvive senza conseguenze drammatiche. In Italia l’incidenza ufficiale è di 3 casi ogni 10mila neonati. Lo scuotimento avviene afferrando l’infante a livello del torace o delle braccia e scuotendolo energicamente circa 3-4 volte al secondo per 4-20 secondi. L’impatto con una superficie rigida non è necessario: le vittime sono in genere bambini tra i 4 e i 6 mesi, non solo perché necessitano di cure costanti che possono esasperare genitori fragili, ma anche perché la loro testa è molto pesante rispetto al resto del corpo e i muscoli del collo ancora non sono in grado di sostenerla adeguatamente. I fattori di rischio che in una famiglia possono aumentare le probabilità di AHT sono: famiglia mono-genitoriale, età materna inferiore ai 18 anni, basso livello di istruzione della madre, uso di alcol o sostanze stupefacenti, disoccupazione, episodi di violenza da parte del partner o comunque in ambito familiare, disagio sociale.
Il metodo migliore per calmare un neonato che piange: tranquillità, presenza, calore, ritmo e rituali
Sicuramente il metodo migliore per calmare un bebè che piange è anche molto semplice: pazienza, calma e coccole.
Secondo una ricerca condotta presso l’Università di Notre-Dame, negli Stati Uniti, gli adulti che sono stati coccolati fin da piccoli hanno maggior successo nella vita, godono di ottima salute e sono più produttivi.
L’istinto di un neo-genitore è quello di cullare, tenere in braccio e coccolare il suo neonato. Seguire il proprio istinto senza aver paura di viziare o sbagliare è la strada giusta, anche perché è dimostrato che i neonati che vengono prestamente soddisfatti nei loro bisogni piangono molto meno degli altri, semplicemente perché non hanno bisogno di strillare per far accorrere l’adulto di riferimento.
Anche in questo caso, però, con il dovuto equilibrio: intervenire sempre prima che il bambino manifesti le proprie necessità potrebbe essere controproducente.


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